Ogni asana è una porta. Alcune si spalancano verso il corpo, altre si aprono alla mente.
Ogni postura mi parla in un modo diverso. A volte mi sfida, altre mi calma.
Quando Dentro C’è Disordine, Fuori Non Si Sta In Piedi.
Sto per cadere. Il piede d’appoggio trema, la gamba sollevata sembra perdere forza. Il ginocchio vacilla, l’alluce scappa tra le dita. Provo a ricompormi, ma il corpo non risponde: traballa, l’anca si chiude, si irrigidisce. Il respiro si spezza. La mente urla “Tieni!”, ma il corpo restituisce instabilità.
E adesso, per complicare tutto, sposto la gamba destra lateralmente, mentre lo sguardo va dalla parte opposta. La stabilità sembra sfaldarsi ancora di più. È come se ogni parte del corpo tirasse in una direzione diversa. Per un attimo, mi sento piccolo. Ridicolo, persino. Come se il mio intero equilibrio dipendesse da questa asana, da questo frammento di pratica yoga.
Eppure, era iniziato tutto come sempre. Una mattina qualunque in shala. I soliti respiri profondi, il corpo che si apre in una lenta danza interiore dal ritmo noto. L’illusione di avere tutto sotto controllo. Poi arriva Utthita Hasta Padangusthasana e qualcosa cambia.
All’esterno è solo una gamba sollevata, un braccio teso, uno sguardo fisso. Ma dentro, c’è una battaglia sottile. In quel preciso istante, la mente vuole una cosa, il corpo ne fa un’altra.
La prima reazione è quella di sempre. Nel tentativo di gestire tutto, stringo, contraggo, trattengo. Voglio controllare quella gamba, voglio controllare l’equilibrio, voglio controllare la mente. Ma c’è un punto in cui l’insistenza si trasforma in tensione, e la tensione diventa crollo. Allora mollo. Scendo. Inspiro.
Mi torna in mente una conversazione di qualche giorno fa, fuori dalla shala. Una persona a me cara, che stava attraversando un momento di confusione, mi ha detto:
“Mi sfugge tutto di mano. Non so più dove aggrapparmi.”
E io le ho risposto:
“Forse non devi aggrapparti fuori. Forse devi tornare dentro.”
E ora, lì in piedi, di nuovo con l’alluce tra le dita e la mente che lotta, quella frase rimbalza dentro di me. La gamba non si estende da sola, ma viene richiamata da quel nucleo invisibile, quella radice profonda dentro la pancia e la schiena che sostiene ogni movimento. Senza quel richiamo, la gamba è solo un peso che pende, e io sono già perso.
Smetto di forzare. Allento la presa sul piede.
Ritorno al respiro. Mi ascolto.
Tutto si ferma un istante.
Mi accorgo che l’equilibrio che cercavo non era nella forza, ma nell’ascolto.
Non nello stare su, ma nel tornare in me stesso, al mio centro.
Quello spazio interiore che non trema anche quando fuori tutto vacilla.
Respiro, e l’asana prende vita. Non perfetta, non fiera, non “Instagrammabile”. Ma vera.
Perché ora ci sono. Radicato. Presente. Il piede spinge a terra, il corpo si apre, la mente tace.
E dentro, qualcosa si stabilizza. Non perché ho vinto, ma perché ho smesso di combattere.
Ci sono giorni in cui tutto sembra instabile, dentro e fuori.
E ci illudiamo che sistemando le cose là fuori ritroveremo la pace.
Questa è la lezione che questa postura mi offre oggi: la stabilità non è mai una questione di controllo superficiale.
È un ritorno a quel punto dentro di noi dove possiamo sempre rifugiarci, soprattutto quando tutto sembra sbilanciato.
E nella vita, come nello yoga, questo centro è la nostra vera forza.
Tu dove vai quando senti che stai per cadere?
Om shanti, shanti, shanti
‘Sii Flessibile Nella Mente, Forte Nel Cuore‘