GLI YOGASutra di patanjali

Samadhi Pada • sutra 1.16

तत्परं पुरुष-ख्यातेः गुण-वैतृष्ण्यम् ॥१.१
tatparaṁ puruṣa-khyāteḥ guṇa-vaitr̥ṣṇyam ॥1.16॥
Lo stato supremo (di vairāgya) sorge dalla consapevolezza del (puruṣa), uno stato di libertà dai guṇa.
Commento
Dopo aver spiegato nel sutra precedente che cos’è vairāgya, ora Patanjali ci descrive il non-attaccamento nella sua forma più alta (paraṁ vairāgya). Un punto cardine nel percorso dello yoga che sorge non solo dall’abbandono dei desideri esteriori, ma dalla profonda consapevolezza della propria vera natura (puruṣa), distinta dalle fluttuazioni della mente e dalle influenze dei guṇa (sattva, rajas e tamas).

Il termine puruṣa-khyāteḥ sottolinea che non si tratta di una conoscenza intellettuale, ma di una visione interiore che scaturisce dalla pratica costante della discriminazione (viveka) tra ciò che è mutevole (prakṛti) e ciò che è il principio immutabile della coscienza (puruṣa). Quando questa comprensione matura, l’attrazione e la repulsione verso il mondo si dissolvono, lasciando spazio a una libertà profonda. È un invito alla riflessione: cosa ci lega ancora ai desideri e alle paure che derivano dalla nostra identificazione con la mente e il corpo?

I Guṇa e il Loro Ruolo
I guṇa sono le qualità o energie fondamentali che caratterizzano la natura (prakṛti) e, di conseguenza, influenzano la nostra mente, le emozioni e il comportamento. In particolare:
Sattva esprime chiarezza, armonia e stabilità, favorendo uno stato di calma e comprensione.
Rajas è l’energia del movimento, dell’attività, dell’ambizione e del desiderio, spingendo verso l’azione e il cambiamento.
Tamas rappresenta l’inerzia, l’oscurità e la resistenza al cambiamento, manifestandosi attraverso la confusione o l’apatia.

Queste tre qualità, sempre presenti in varia misura, interagiscono costantemente per definire la nostra esperienza interna ed esterna. Il praticante che raggiunge il distacco supremo non si identifica con nessuna di esse—nemmeno con sattva, poiché anche la chiarezza mentale rientra nelle dinamiche transitorie di prakṛti. Tale distacco non implica una negazione della vita, ma una trascendenza che permette di vivere in piena consapevolezza, senza essere condizionati da queste energie mutevoli.

Patanjali indica qui una direzione: il percorso dello yoga non si limita a calmare la mente o migliorare il corpo, ma mira a qualcosa di infinitamente più grande. La visione del puruṣa conduce all’illuminazione, intesa come liberazione dai cicli di nascita e morte (saṁsāra), evidenziando così la trasformazione radicale che il percorso dello yoga promette.

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Oggi, osserva come le tue emozioni e stati d’animo cambiano nel corso della giornata. Ti senti leggero e sereno, o appesantito da preoccupazioni e desideri? Nota come questi stati siano influenzati da fattori esterni e interni: energia (rajas), inerzia (tamas) o chiarezza (sattva).

Esercizio di Presenza: Quando riconosci un’emozione o una reazione, fermati per un momento. Chiediti: “Chi è che sta osservando tutto questo?” Dietro ogni fluttuazione c’è una consapevolezza stabile e immutabile. Porta la tua attenzione a quel testimone interiore, il Sé (puruṣa), che rimane libero da ogni condizione.

Riflessione: Quanto spesso ti identifichi con le tue emozioni e pensieri? E se invece iniziassi a riconoscerli come semplici movimenti della mente, senza lasciarti trascinare? Più coltivi questa prospettiva, più sperimenti la libertà autentica, oltre l’influenza dei guṇa. Quando riconosciamo il puruṣa, gli oggetti del mondo e i loro effetti su di noi perdono presa. Non significa rifiutare l’esperienza della vita, ma viverla con equanimità, senza che il nostro senso di identità sia legato a ciò che percepiamo.
Questo stato di libertà non è ottenuto con lo sforzo, ma sorge spontaneamente dalla consapevolezza profonda. Che cosa cambia quando affronti la giornata con questa prospettiva? Osserva se vi è una leggerezza diversa nel modo in cui vivi le esperienze, e come il distacco diventa un’apertura, non una negazione.

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