Samadhi Pada • sutra 19
भवप्रत्ययो विदेहप्रकृतिलयानम् ॥१.१९॥ bhava-pratyayo videha-prakṛti-layānam ॥1.19॥ |
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Per i videha yogi (yogi incorporei) e i prakṛtilayāna yogi (yogi uniti con la natura) la mera nascita è causa (di asaṁprajñātaḥ samādhi). |
Commento Nei sutra precedenti (sutra 1.17 e sutra 1.18) Patañjali ha descritto due tipi di samādhi: saṁprajñāta e asaṁprajñāta. Ora, inizia a spiegare come questi stati vengano raggiunti. In questo sutra si parla di due tipi di yogi: i videha yogi, ossia coloro che hanno superato i limiti del corpo fisico, e i prakṛtilayā yogi, coloro che si fondono con la natura primordiale (prakṛti). Questo stato di nascita – o, più precisamente, il “venire al mondo in questa condizione” – è una causa per il raggiungimento del asaṁprajñāta samādhi. I videha yogi sono descritti come esseri che hanno trasceso il grossolano corpo fisico, esistendo su piani sottili dell’esistenza. Si potrebbe pensare a divinità o esseri di pura energia, che hanno raggiunto uno stato in cui la loro coscienza non è più limitata dalla forma materiale. I prakṛtilayā yogi, invece, si dissolvono completamente nella prakṛti, diventando tutt’uno con essa. È come se si lasciassero assorbire dalla realtà fenomenica, perdendo la distinzione tra sé e la manifestazione materiale, ma senza aver raggiunto ancora la liberazione ultima. Qui però arriva la precisazione fondamentale: questi stati non sono la liberazione definitiva. Come sottolineano anche commentatori tradizionali (come Vyāsa, I.K. Taimni e B.K.S. Iyengar), il fatto di nascere già in una di queste condizioni non implica il vero samādhi che porta alla liberazione (kaivalya), perché manca ancora la chiara discriminazione tra Puruṣa (la coscienza pura) e Prakṛti (la natura materiale). In parole semplici: non c’è ancora una consapevolezza totale della vera natura dell’essere. Può sembrare una realizzazione elevata, ma in realtà rimane ancora un fenomeno legato al karma. In sintesi, il sutra ci insegna che essere in uno stato di assorbimento profondo non basta. È solo una fase, non la destinazione finale. Per realizzare la vera liberazione, serve la discriminazione consapevole. Credere diversamente significa farsi distrarre dal vero obiettivo della pratica yoga. Un po’ come pensare che riuscire a toccarsi le punte dei piedi sia il culmine dello yoga… quando in realtà è solo l’inizio. O ancora, come un atleta che, durante una maratona, si lascia affascinare da paesaggi pittoreschi lungo il percorso, dimenticando che deve continuare il suo percorso verso la meta finale. ![]() Oggi, osserva i momenti in cui ti senti particolarmente presente, senza aggrapparti a pensieri o emozioni. Quando la mente si calma e il respiro diventa naturale, potresti percepire una tranquillità che, pur non essendo samādhi, sembra indicare uno stato profondo di meditazione in potenza. Esercizio di Presenza: Ogni volta che noti un momento di calma mentale o fisica, fermati un attimo e osserva senza giudicare. Non forzare nulla, lascia che il momento si manifesti per quello che è, senza aspettative. Cerca di percepire se ci sono momenti in cui sei completamente nel presente, senza il bisogno di un oggetto a cui aggrapparti. Riflessione: Quante volte sei consapevole di questi attimi di distacco e di calma? E se iniziassi a considerarli come segni di un processo più profondo che potrebbe eventualmente condurre a uno stato di samādhi, anche se non sappiamo esattamente cosa sia? In questi momenti, non c’è bisogno di cercare o di sapere con certezza; l’importante è riconoscere che ogni attimo di consapevolezza ci avvicina, forse, alla comprensione di una quiete più grande. |
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