GLI YOGASutra di patanjali

Samadhi Pada • sutra 31

दुःखदौर्मनस्याङ्गमेजयत्वश्वासप्रश्वासा विक्षेप सहभुवः ॥१.३१॥
duḥkha-daurmanasya-aṅgamejayatva-śvāsapraśvāsāḥ vikṣepa sahabhuvaḥ ॥1.31॥
Sofferenza (duḥkha), frustrazione (daurmanasya), nervosismo (aṅgamejayatva), inspirazione (śvāsa) ed espirazione (praśvāsa) irregolari, sono sintomi (sahabhuvaḥ) delle distrazioni (vikṣepa) elencate nel sutra 1.30.
Commento
Nel sutra precedente (1.30), Patañjali ha elencato gli ostacoli principali che disturbano il percorso yogico: malattia, dubbio, stanchezza, attaccamento, e così via. Ora aggiunge un elemento di importante: ci mostra come questi ostacoli si manifestano concretamente, nel corpo e nella mente.

Il sutra dice che cinque stati accompagnano (sahabhuvaḥ) le distrazioni (vikṣepa):
duḥkha, la sofferenza esistenziale, quel senso di disagio o insoddisfazione sottile che accompagna tante nostre giornate;
daurmanasya, la tristezza mentale, che può prendere la forma della frustrazione, dello scoraggiamento, della rinuncia silenziosa;
aṅgamejayatva, il tremore del corpo, l’irrequietezza fisica, il bisogno di muoversi senza una vera necessità;
śvāsa e praśvāsa, inspirazione ed espirazione alterate, il respiro che si accorcia, diventa affannoso, spezzato.

Tutti questi segnali indicano che la mente non è centrata, che si è perso il filo. Ma non sempre ce ne accorgiamo a partire dai pensieri: spesso è il corpo a dircelo prima. Un’inquietudine che sale senza causa apparente, il petto che si stringe, un’irritabilità che non sappiamo spiegare. Non sempre ascoltiamo: spesso reagiamo giudicando: “non sono abbastanza concentrato”, “non funziona”, “non sono capace”.

Questo sutra ci invita a osservare con chiarezza: ciò che appare nel corpo e nel respiro non è il nemico. È il modo in cui si manifesta una mente in disequilibrio. Sono compagni di strada delle distrazioni (vikṣepa), come piccoli campanelli che suonano quando ci siamo allontanati da casa, da quella qualità di mente stabile e quieta che lo yoga coltiva. Riconoscerli per tempo non vuol dire reprimerli, né correggerli di forza. Vuol dire ritornare. Spesso è sufficiente semplicemente notare che ci sono. Accorgersene fa già parte della cura. E tornare a ciò che stiamo facendo. A ciò che siamo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto